Gli stretti confini dell’Italia

La ricchezza del nostro patrimonio culturale ha portato la legislazione italiana a divenire altamente restrittiva in materia di esportazione e tutela in tempi molto precoci rispetto ad altri Paesi. Qual è l’impatto economico su questi beni vincolati? Quali le limitazioni al commercio delle opere d’arte?

La dogana fra Italia e Svizzera

Lo scorso 18 luglio allo IULM di Milano si è tenuto il convegno Trovato in Italia, venduto a Ginevra. Primi risultati sul “Questionario per la proposta di modifica della legislazione sul mercato dell’arte”, in cui sono stati presentati i risultati della seconda indagine dall’Area Research del Gruppo Montepaschi sugli impatti economici della notifica nel mercato dell’arte italiano.
A discutere di questo bollente argomento riguardante il nostro mercato dell’arte sono intervenuti Giancarlo Graziani (docente di Mercato dell’arte e dell’antiquariato Università IULM di Milano), Pietro Ripa (area pianificazione strategica e operazioni straordinarie Gruppo Montepaschi), Filippo Lotti (amministratore delegato Sotheby’s Italia), Filippo Cavazzoni (direttore editoriale Istituto Bruno Leoni), Alfonso Valentino Casalini (IULM), con la moderazione di Paolo Manazza (Corriere Economia, direttore ArtsLife).
La questione dibattuta riguardava “i beni culturali che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre cinquanta anni”.

Rivediamo brevemente in cosa consiste la Dichiarazione dell’interesse culturale e la conseguente notifica enunciati nel Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 Codice dei beni culturali e del paesaggio.
La sussistenza dell’interesse culturale viene accertata dalla cosiddetta Dichiarazione dell’interesse culturale e dev’essere notificata al proprietario, possessore o detentore del bene in oggetto. Una volta notificato l’interesse, qualora il proprietario intendesse procedere con la vendita o alienazione del bene, lo Stato ha il potere di intervenire attraverso il diritto di prelazione, al medesimo prezzo stabilito nell’atto di vendita.
Inoltre, questi beni notificati sono sottoposti a un rigido controllo sulla circolazione internazionale e ne è vietata l’uscita definitiva dal territorio italiano.
Questo divieto pone gravosi vincoli a proprietari dei beni notificati, ma anche ad antiquari e altri operatori del settore che vedono ridursi il territorio d’azione a quello nazionale, oltre a influenzare negativamente il valore economico del bene. Inoltre, il “timore” della notifica arriva a fungere da deterrente per i collezionisti, che evitano di prestare o esporre le proprie opere nel timore che queste vengano poi dichiarate d’interesse culturale. Infine, rispetto alla precedente edizione dello studio di MPS, cresce il numero degli intervistati che ritiene che l’istituto della notifica favorisca la fuoriuscita illegale di opere d’arte: ad oggi l’88,6% degli intervistati, contro il 78,6% dell’anno scorso.
Nonostante ciò, secondo lo studio di MPS, il 72,7% degli intervistati ritiene l’istituto della notifica opportuno al fine di evitare la fuga dei capolavori italiani all’estero. Esiste anche un 58,1% che vede nella notifica una sorta di certificazione di valore da parte dello Stato, ammettendo possibili effetti positivi sui prezzi.

Questa percentuale si scontra con l’82% del campione, che ritiene che la notifica abbia un impatto economico negativo sulle opere di fascia elevata. Ben il 27,5% ritiene che l’impatto sia superiore al 40% del valore, mentre solo il 17,6% sostiene che tale impatto sia nullo.
La limitazione al trasferimento non solo fa sì che tali opere vengano tagliate fuori dal mercato internazionale, cui consegue appunto una svalutazione del valore, ma contagia anche il mercato italiano in generale, contribuendo ad ampliare la sua debolezza nel panorama internazionale.
Qual è la situazione negli altri Paesi? Una cultura protezionistica come la nostra è molto più moderata negli altri Paesi europei, dove sono inoltre previste agevolazioni fiscali e risarcimenti per i proprietari dei beni vincolati.
In Germania, ad esempio, sono previste agevolazioni fiscali per il proprietario del bene notificato; la protezione del patrimonio è inesistente a livello federale, venendo delegata ai singoli Laender. Stesso discorso per gli Stati Uniti, privo di un corpus omogeneo di norme relative alla tutela e molto orientato alla protezione della proprietà privata a discapito di quella pubblica. Nel Regno Unito una legislazione sulla tutela esiste solamente dal 1968, e vige un sostanziale obbligo di acquisto da parte dello Stato ogni volta che scatta la notifica su un’opera.
La Francia ha invece elaborato una nozione di patrimonio nazionale già a partire dalla Rivoluzione, mantenendo però una forte componente liberista che porta a un’applicazione molto disinvolta della legislazione. C’è l’obbligo di notificare il bene in uscita dal Paese ma, essendo previsto un rimborso al proprietario per il danno economico che il vincolo comporta, il Ministero si mantiene molto cauto nell’applicazione.

Quali le soluzioni emerse dallo studio di MPS? Fra le alternative, il 50% degli intervistati modificherebbe il limite temporale dei cinquant’anni dalla sua esecuzione. Inoltre, nel caso di vendita all’estero, il 41,9% del campione sarebbe favorevole all’ipotesi di un’asta della durata massima di sei mesi al fine di trovare un acquirente interno. Se al termine dei sei mesi l’asta non ha prodotto il risultato sperato, l’opera può uscire dai confini nazionali.
Questo studio annuale di MPS porta alla ribalta una discussione avviata ormai da molto tempo, su come sia complesso conciliare le esigenze della delicata questione della tutela con le necessità del mercato, che vorrebbe una legislazione più liberale e permissiva, abolendo le frontiere per tesori di inestimabile importanza – o “interesse”, per usare la terminologia del Codice.